E anche per oggi sveglia presto, anche se, alloggiando a 15 minuti a
piedi dalla stazione e non dovendo portarmi dietro bagagli, risulta
tutto è molto più rilassante. Proprio per prendermela comoda ho
prenotato lo Shinkansen delle 7.45, ma arrivando in stazione con largo
margine d’anticipo decido di far cambiare la prenotazione su quello
delle 7.29 in modo da poter prendere la coincidenza a Nagoya con maggior
calma. Alla fine, visto il tempo speso per il cambio prenotazione, devo
affrettarmi per prendere il treno al volo e quindi saltare la
colazione... o almeno fino a Nagoya dove ora avrò del tempo da buttare.
Nel breve tratto tra Kyoto e Nagoya mi godo il paesaggio delle campagne
fuori Kyoto notando deliziosi particolari.
Alle
8.40 sono sull’Hida View per Takayama con il mio Dorayaki e il mio
Caffelatte da viaggio. L’Hida View è un treno espresso (ma non
superveloce) molto comodo e con vetrate pulite e grandissime che
permettono di ammirare il paesaggio durante il viaggio. Una voce ti
avverte pure se c’è qualcosa di una certa rilevanza da ammirare.
Per
quasi tutto il viaggio il treno costeggia il fiume Hida tra vallate,
dighe e paesaggi rurali lasciando scorrere piacevolmente le 2 ore di
viaggio.
Arrivato
a Takayama ho già un mio itinerario più o meno definito dato che sono
già le 11 e il treno del ritorno mi aspetterà sul binario solo fino alle
16.45. Così mi allontano spedito dalla stazione per dirigermi sul lato
più tradizionale della cittadina dove, fino a mezzogiorno, ci sono dei
mercatini sulla riva del fiume. Questi mercatini offrono originali
prodotti artigianali e generi alimentari, ma purtroppo non mi resta
molto tempo per godermeli con la dovuta calma dato che, da lì a poco,
non ci sarà più nulla.
E infatti, quando raggiungo il secondo mercatino, trovo soltanto gli ultimi banchetti intenti a smontare tutto. Però, lì a pochi passi c’è un piccolo baracchino permanente che attira molto l’attenzione degli abitanti del posto, di gruppetti di studenti e del sottoscritto. Si tratta di una signora che offre, alla modica cifra di 70 Yen (circa 50cent), dei Dango (i classici spiedini di mochi) grigliati con salsa di soia.
Non posso non assaggiarli prima di iniziare il mio giro tra le viette del centro storico, caratteristiche per gli edifici originali mantenuti dall’epoca Edo e ora adibiti a negozietti. Girare tra questi negozi è piacevolissimo, e nonostante si tratti di attività commerciali principalmente indirizzate ai turisti, nel pieno spirito giapponese, mai nulla ti dà una sensazione di finto o fuori luogo.
Ma non fraintendetemi, non si tratta di un triste parchetto a tema con quelle fasulle riproduzioni in plastica e cartapesta, belle da vedere solo in lontananza, ma una vera e propria ricostruzione di un intero e originale villaggio giapponese fatto trasportando gli edifici originali da diverse aree della regione di Hida!
E infatti, quando raggiungo il secondo mercatino, trovo soltanto gli ultimi banchetti intenti a smontare tutto. Però, lì a pochi passi c’è un piccolo baracchino permanente che attira molto l’attenzione degli abitanti del posto, di gruppetti di studenti e del sottoscritto. Si tratta di una signora che offre, alla modica cifra di 70 Yen (circa 50cent), dei Dango (i classici spiedini di mochi) grigliati con salsa di soia.
Non posso non assaggiarli prima di iniziare il mio giro tra le viette del centro storico, caratteristiche per gli edifici originali mantenuti dall’epoca Edo e ora adibiti a negozietti. Girare tra questi negozi è piacevolissimo, e nonostante si tratti di attività commerciali principalmente indirizzate ai turisti, nel pieno spirito giapponese, mai nulla ti dà una sensazione di finto o fuori luogo.
E’
incredibile questa dote tutta giapponese di saper sempre creare la
giusta armonia anche dove c’è un vistoso contrasto fra le cose:
tradizione con modernità, buffo/kawaii con serio/istituzionale,
patrimonio artistico con commercialità. L’atmosfera all’interno di
questi negozi ti fa sentire in un’altra epoca: le luci sono sempre
soffuse, tanto che sembrano filtrare dall’esterno (pur mantenendo sempre
la giusta illuminazione sui banchetti dove sono esposti i prodotti) e
anche dove si ammassano più turisti c’è sempre un clima di calma e
serenità.
Si tratta prevalentemente di botteghe artigianali,
distillerie di sake, ristorantini o venditori di cibo da passeggio. Tra
questi c’è anche una venditrice di sushi di carne dato che la carne di
manzo è una delle specialità della zona di Hida.
E’
già passato mezzogiorno e devo organizzare le tempistiche per i miei
prossimi obiettivi: i templi della zona est e il villaggio tradizionale a
ovest della città. E’ difficile organizzarsi coi tempi quando ancora
non sai bene cosa aspettarti dai luoghi che stai per visitare e hai
sempre il terrore di dedicare i tempi sbagliati all’una o all’altra
cosa. Intanto comincio ad incamminarmi verso Nord dove trovo il primo
tempio: il Santuario Sakurayama Hachimangu e quel sakurayama mi lascia
intendere che sarebbe interessante tornare a visitare questo posto
durante l’hanami.
La cosa che più mi colpisce è la quasi totale
assenza di turisti e tutte le volte che mi accade una cosa del genere
provo una sensazione particolare che mi fa sentire come il padrone del
posto e mi stimola a viverlo con maggiore curiosità. Così inizio a
curiosare un po’ in giro e scopro sentieri e scalinate che portano nel
cuore del boschetto in cui è immersa la struttura sacra. Continuo a
scalare i sentieri e siamo solo io, il verde intorno a me, qualche parte
del santuario di cui si intravede solo il tetto e, fra un albero e
l’altro, è possibile ammirare l’intera cittadina dall’alto della
collina.
Mi sposto verso l’area dei templi di
Higashiyama e mi rendo conto di come, dopo la camminata di ieri, le
distanze mi appaiano decisamente più brevi.
Sarà che nel frattempo si son fatte le 13 ma anche qui è tutto deserto.
Mi
limito ad un giretto nella struttura principale dei primi templi e tra i
cimiteri nascosti nei boschi dietro di essi prima di tornare verso la
stazione dove conto di prendere il Bus delle 14 per l’Hida no Sato.
Sulla
strada mi fermo per prendere una bibita energetica di Dragonball (essì,
mi son fatto abbindolare come un pollo dai disegni sulle lattine :D ) e
poco più avanti un nikuman da una simpatica vecchina. Ma non un
semplice nikuman, ma più buono mangiato nella mia vita: con la pasta
morbidissima che si scioglie in bocca e la carne con un fantastico
retrogusto dolciastro. Oishiikatta desu! La signora è carinissima e mi
spingo a provare un minimo di conversazione in Giappone (ovviamente
ridotta all’essenziale per ordinare, pagare, complimentarmi e farmi dare
un fazzoletto perché mi sto ustionando le mani :D)
Arrivo
in stazione dove, per la modica cifra di 900 yen (circa 7 euro)
acquisto un kit che include il biglietto d’ingresso all’Hida no Sato e
due biglietti dell’autobus per il viaggio di andata e di ritorno. Alle
14.15 sono all’ingresso.
Appena entrato
resto completamente spiazzato! Tutto è completamente diverso dalle
aspettative che mi ero fatto su quel posto. Mi aspettavo ad una sorta di
aerea semi-abbandonata e recintata un po’ come una zona archeologica
con accesso solo a chi si occupa dei restauri e invece mi trovo di
fronte ad un … parco dei divertimenti!
Ma non fraintendetemi, non si tratta di un triste parchetto a tema con quelle fasulle riproduzioni in plastica e cartapesta, belle da vedere solo in lontananza, ma una vera e propria ricostruzione di un intero e originale villaggio giapponese fatto trasportando gli edifici originali da diverse aree della regione di Hida!
All’interno dell’area è
possibile trovare tutte le tipologie di strutture che formano un
villaggio: dal mulino alla lavanderia, dalle stalle al santuario per un
totale di 30 diversi edifici. Ma la cosa che lascia ancora più sorpresi
che non si tratta di un freddo museo a cielo aperto ma è possibile
viverlo immergendovisi all’interno e interagendo con esso. E così
possibile entrare nelle case (togliendosi rigorosamente le scarpe),
suonare la campana o sperimentare giochi originali come il kendama (il
martelletto con la pallina di yattaman per intenderci) o la koma (la
trottola da lanciare avvolgendovi una corda intorno). All’ingresso vi
viene anche fornito un ombrellino originale in legno per ripararsi dal
sole. Unico piccolo neo (ma che ne rappresenta anche una garanzia di
qualità) è stato il fatto che, per quanto ci fossero stati solo 2 o 3
turisti in totale, c’erano anche 2 o 3 intere scolaresche di bambini in
gita d’istruzione.
Tornato
in stazione ho ancora un’oretta prima della partenza del mio treno e
così decido per un ultimo giretto nella zona delle botteghe e qui
comincio a rendermi conto di fare seriamente fatica a camminare e che il
dolore ai piedi si fa sempre più forte ad ogni passo. Tornato in
stazione, prendo una bottiglia di thè (che poi scopro essere all’orzo
-_- ) e mi metto ordinatamente in fila sulla banchina in attesa del
momento in cui potrò comodamente sedermi sulle poltrone del treno. E qui
faccio quello che fino a quel momento avevo evitato: togliermi le
scarpe in treno. Non avrei voluto ma era necessario e oltretutto scopro
di avere una dolorosa vescica sul tallone destro. E dire che, prima di
partire, mi ero preso un paio di scarpe da corsa nuove, anche se non di
fascia alta; ma pensavo che per camminare sarebbero state molto più che
sufficienti! Ho imparato la lezione e al prossimo viaggio darò priorità
ad un paio di scarpe da corsa professionali!
E come se non bastasse mi accorgo anche di scottare ed essere di color rosso aragosta in faccia e sulle braccia!
Arrivo
a Nagoya che sono ormai le 19 e alle mie magagne si aggiunge pure
l’abbassamento di temperatura esterna. Così mi rifugio in una sala
d’attesa e comincio a preoccuparmi al pensiero del tratto di strada che
dovrò fare un’ora più tardi dalla stazione al Ryokan. Fortunatamente mi
ricordo di avere un K-Way portato per eventuali piogge e quello mi
salverà la vita dal vento gelido in quei 20 minuti di strada a passo
lentissimo.
Sono a pezzi ma non posso passare un’altra
serata chiuso in Ryokan, e quindi provo a cambiarmi le scarpe (anche se
le All Star sono decisamente meno comode, magari la forma differente mi
farà sentire meno la vescica) e mi incammino sofferente verso la zona a
nord di Kyoto dove la sera c’è più vita.
La
mia lentezza, unita alla proverbiale indecisione, rischia di farmi
restare senza cena e così mi infilo in un ristorante qualunque dove mi
avvisano che devo ordinare al volo perché dopo mezz’ora avrebbero
chiuso. E così, dopo la fatica nell’ordinare (e ancora non capisco dove
fosse il problema nel capire cosa volessi dato che hanno chiamato 3
persone per richiedermi la stessa cosa) mangio 2 veloci porzioni di
Yakitori, una tempura di polipo e una bella Asahi fresca.
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