Avevo iniziato questi racconti partendo dal momento in cui misi piede
fuori dall’aereo e quindi credo sarebbe giusto chiudere il cerchio
arrivando fino al momento in cui salgo sul volo che mi riporterà a
Malpensa.
In effetti non c’è un undicesimo giorno o, perlomeno, non c’è molto da raccontare su quella mattinata.
Al
mio risveglio devo finire di preparare gli ultimi bagagli, ma prima di
uscire e fare il check-out devo ancora sbrigare una faccenda. Rinuncio
alla connessione durante il trasferimento a Narita e mi tolgo il peso
della restituzione del router. Così sigillo il pacchetto e vado al
konbini più vicino per spedirlo. Ora posso lasciare definitivamente la
camera e incamminarmi verso la stazione. Rimando la colazione a quando
sarò in aeroporto ma, avendo ancora qualche Yen sulla Pasmo, ne
approfitto per prendermi almeno un succo da un distributore automatico. A
questo punto gli Yen residui si riducono a poche decine e quindi posso
anche restituire la carta ottenendo indietro i miei 500 Yen di
cauzione. Ora non mi resta che salire sul treno della Keisei che mi
riporterà a Narita.
Se il viaggio d’andata mi era quasi volato
via, mentre mi guardavo intorno stordito dalle emozioni, quello del
ritorno sembra eterno.
Arrivato
a Narita mi dirigo direttamente a fare il check-in per poi dedicarmi
con calma alla colazione e agli ultimi acquisti. Quando, il primo giorno
ad Akihabara, mi avevano disegnato la faccina sul bicchiere di
Starbucks, mi avevano regalato un sorriso. A distanza di 10 giorni, la
stessa cosa si ripete a Narita e questa volta quel semplice gesto mi è
fatale. E così sono costretto a tirar fuori gli occhiali da sole per
nascondere le lacrime.
Ma se non mi do una mossa, finirò per
perdere l’aereo, quindi un veloce giretto tra i negozi e sono pronto ad
imbarcarmi. Con lo sguardo perso fuori dal finestrino finisco le
ultime lacrime e poi si decolla.
Ora resta solo da fare un bilancio di questa vacanza giapponese.
Ricordo
che quando mi ero deciso a buttarmi ed affrontare quest’ avventura,
tutto mi sembrava così strano e fuori dal comune: Io che prendo e me ne
vado da solo dall’altra parte del mondo? Ma che coraggio ci vuole? Ma
veramente riuscirò in un’impresa del genere?
Invece, dopo solo
qualche giorno, tutto mi sembrava assolutamente nella normalità, come se
fosse la cosa più semplice e naturale del mondo. Se inizialmente avevo
quasi un senso di ammirazione verso me stesso, ora sono pienamente
convinto di non aver fatto proprio nulla di straordinario. Una volta
cancellate le ansie e le paure, il valore di questa piccola impresa è
stato decisamente ridimensionato.
Le paure. Quante piccole paure prima della partenza, soprattutto nei mesi che hanno preceduto la decisione stessa di partire.
Prima
su tutte quella della solitudine. Dieci giorni in Giappone,
completamente da solo, non riuscivo proprio ad immaginarmeli. Da un
lato, l’idea mi attraeva tantissimo e desideravo fortissimamente vivere
quest’esperienza solo con me stesso. Però pensavo anche a come avrei
potuto sentirmi nei tempi morti. Quando la sera sarei rientrato in
albergo avrei avuto dei crolli emotivi?
E invece nulla di tutto
questo! Forse perché sul suolo nipponico mi sentivo forse più a casa e a
mio agio di quando sono realmente in Italia? Forse l’unica cosa che
mancava per sentirsi completamente a casa era Kuro ad accogliermi quando
tornavo alla sera e che dormiva con me.
Ma sarà anche perché non c’erano proprio questi famigerati tempi morti?
Nonostante
le mie buone intenzioni e dopo che sono anni che mi dico di voler
tornare in Giappone senza meta, alla fine ci sono cascato di nuovo e non
ho saputo resistere al desiderio di rivedere una serie di luoghi. E
così mi son ritrovato nuovamente a fare il turista che corre dalla
mattina alla sera per non perdersi nulla delle cose che si è prefisso di
vedere (o rivedere).
Ma questo andrei ad aggiungerlo
anche tra i punti negativi di questo viaggio. Tempi troppo tirati e,
solo di tanto in tanto, la dovuta calma per godermi appieno i posti in
cui mi trovavo. Non mi sarebbe dispiaciuto così tanto godere di qualcosa
così a fondo, tanto da arrivare quasi al punto di annoiarmi. Sapevo che
fare solo dieci giorni mi sarebbe pesato e, col senno di poi, forse
avrei fatto meglio azzardarmi a chiedere un ulteriore giorno di ferie,
fare 14 giorni pieni e rientrare al lavoro la mattina subito dopo il
rientro (anche se in condizioni pietose).
Sempre in vena
di lati negativi potrei aggiungere che se fossi stato un po’ più
espansivo fin dall’inizio e avessi socializzato da subito con la gente
del posto magari avrei potuto vivere qualche altra esperienza nuova o
conoscere qualche posto in cui solo con l’aiuto di una persona del posto
puoi capitare.
Quindi ora posso aggiungere questa cosa
alla lista dei buoni propositi per il prossimo viaggio, insieme ad un
altro punto decisamente fondamentale e trascurato: ripassare per bene le
mie conoscenze di giapponese! Passi il fatto che il mio livello è
abbastanza basso, ma mi veniva troppo il nervoso quando non riuscivo a
formulare correttamente frasi che avrei dovuto sapere o quando non mi
venivano in mente parole anche molto banali.
Per il resto
non posso proprio lamentarmi della mia organizzazione dato che tutto è
filato molto liscio. La scelta dei Ryokan è stata positiva, avevo la
connessione mobile, gli spostamenti non mi hanno creato problemi così
come la ricerca dei luoghi.
E poi credo bisognerebbe proprio
spendere due parole su quella connessione: I soldi meglio spesi
nell’organizzare il viaggio. Quella connessione mi ha aiutato, mi ha
tenuto in contatto con le persone, mi ha guidato, mi ha fatto
risparmiare tempo e soldi. Insomma, mi ha fatto affrontare il tutto con
un’ottica diversa. E così, a questo giro, anche io facevo parte di
questo Giappone tecnologico.
Che altro resta da
aggiungere? Semplice! Che alla fine è stata un’esperienza fantastica,
esattamente come nelle aspettative! Il Giappone, a differenza di quello
che molti pensano, è un paese a misura di persona. Sembra paradossale,
ma è proprio così.
La fin quasi eccessiva cortesia delle persone e
il rispetto per il bene comune da parte di tutti, rendono estremamente
piacevole ogni minuto di permanenza nel paese. Ad aumentare questa
sensazione di benessere ci sono poi la bellezza dei paesaggi, la
simpatia che ti viene trasmessa dall’onnipresente cultura kawaii, il
perfetto sistema organizzativo e tutti quei piccoli particolari che
aiutano a donare comodità alle cose di uso quotidiano.
Tutto
questo è ancora più bello quando sei un gaijin e puoi semplicemente
goderne senza troppi pensieri. Un gaijin che, pur restando sempre tale,
non viene mai visto come un alieno ma può passare inosservato come se
fosse parte integrante della società. Ma chissà cosa pensavano di me nel
momento in cui erano costretti a notarmi? Chissà cosa pensavano nel
sentirmi abbozzare frasi in giapponese o nel vedermi girare con una
maglietta di Totoro. :D
Però mi piace pensare di essere
stato visto e aver ispirato simpatia alle persone che incontravo per
contraccambiare quella che loro ispiravano a me.
Quindi a prestissimo… e questa volta facciamo in modo che sai davvero così.
またね!
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