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Giorno 9: Dal mare a un mare di canzoni

Dal mare a un mare di canzoni
Una nuova giornata e io continuo a fregarmene del sonno arretrato. Certo, non faccio più quelle levatacce alle 6 del mattino, ma continuo a dormire quella media di massimo  6/7 ore a notte nonostante i kilometri macinati durante le giornate e senza aver mai recuperato tutto il sonno dei primi giorni. L’unica differenza è forse nel fatto che ora comincio a sentire il suono della sveglia invece di anticiparla. E comunque oggi mi sveglio nuovamente col sole!  Evidentemente la Dea del sole deve avermi preso in simpatia … forse anche troppo, visto che ho dovuto pure comprare una protezione solare per evitare di aggravare la mia situazione.
Ultimo giorno di JRP e quindi gitarella! La scelta della meta è quasi obbligata: Andare verso Hakone comporterebbe passare troppe ore in viaggio e non voglio consumare gran parte della giornata in treno. Yokohama, dopo 5 giorni a Tokyo e uno ad Osaka, posso anche risparmiarmela. Potrei andare verso Takao San ma, prima di partire, mi sono documentato troppo poco sul cosa vedere e come arrivarci. Quindi torno nel posto più bello che si possa trovare a due passi (50km) da Tokyo: Kamakura!

Non riesco bene a capire dove si prenda la Yokosuka line (o almeno, sono sul binario giusto ma non credo di trovare il treno giusto) per arrivare diretti a Kamakura, così prendo il primo treno sul binario per poi cambiare ad Ofuna e fare gli ultimi 5 minuti verso Kamakura. Salito sul secondo treno chiedo conferma ad una coppia seduta davanti a me e lui, invece di un semplice “hai”, preferisce “insegnarmi a pescare” mostrandomi la sequenza delle fermate dal cartello sopra le porte. Poi si risiede, mi dice che anche loro stanno andando lì, e inizia ad attaccar bottone per i 6 minuti che ci separano dalla destinazione. Poco male, mi piace vedere le facce stupide dei giapponesi quando compongo qualche frase nella loro lingua :D
A volte ti sembra di avere dei ricordi così chiari e limpidi di un luogo visto anni prima che, prima di tornarci, ti senti padrone della situazione e nelle tua testa inizi già ad immaginarti mentre ripercorri quelle strade e programmi i percorsi. Poi, quando ti trovi all’atto pratico, non riconosci nulla di quello che aspettavi di trovarti davanti e capisci che, i tuoi ricordi, hanno probabilmente trascurato e rimosso un pezzetto che ritenevano irrilevante. Così cerchi disperatamente quell’anello mancante che riconnette i tuoi ricordi alla realtà che ti trovi di fronte, per ricominciare ad avere il controllo della situazione. Ecco, questo è quello che pensavo mi stesse capitando quando sono uscito dalla stazione di Kamakura. Ma, vedendo quell’anello ampliarsi all’inverosimile, capisco che in realtà la volta precedente ero sceso alla fermata di Kita-Kamakura e non quella di Kamakura centro.
Una volta rassegnatomi a non riconoscere e ripercorrere le strade che conoscevo, attraverso la bella stradina dello shopping che taglia il centro di Kamakura e mi dirigo verso la zona dei templi. Dopo aver curiosato in qualche negozietto e aver percorso qualche centinaia di metri, vengo circondato da un gruppetto di bambini con fogli e quaderni alla mano. Uno di loro, leggendo dal suo quaderno, timidamente mi chiede in inglese se può farmi qualche domanda. Ovviamente acconsento con piacere e scopro si tratta di una scolaresca che sta usando i turisti stranieri per fare esercizio d’inglese. Sono tenerissimi e, nel vederli fare domande senza capire le risposte, mi ricordano tanto qualcuno che spesso è solito avere lo stesso problema ma con la lingua giapponese. Dopo pochi minuti mi lasciano andare, ma non prima di avermi “usato” pure per una foto ricordo. Faccio dieci metri e vengo circondato da un secondo gruppetto. Non posso deluderli, e così accetto la seconda intervista, anche perché qui ci sono pure i loro insegnanti a fare da supervisori. Vedendo altri bambini in giro, inizio a temere che non riuscirò ad uscire da questa benedetta stradina ma fortunatamente il gruppo successivo non mi prende di mira e io posso sgattaiolare via, fuori dalla zona del centro.
E così, dopo aver saltato col treno tutti i templi della zona nord, arrivo al santuario shintoista di Hachimangu e inizio, come al solito, a perlustrarlo curiosando nei angoli meno battuti dai gruppi di visitatori.
Il sole inizia a farsi sentire e, andando verso l’uscita mi fermo per mettermi la crema protettiva e per prendere da un banchetto un chiccone d’uva caramellato; in pratica un chupa-chups molto naturale.
Prima di superare il Torii dell’ingresso, faccio un giro in una piccola ala del complesso, circondata da un laghetto, dove osservo alcune colombe mentre si fanno i loro comodi e si rinfrescano dal sole sbattendo le ali dentro una fontanella purificatrice. Ci mettono così enfasi che fanno pure volare a terra i mestolini che si usano per portare l’acqua alla bocca.
Dopo questa deviazione, arrivato sul vialone alberato principale, sono finalmente riuscito a ricongiungermi coi miei ricordi e inizio a passeggiare serenamente verso la zona sud entrando occasionalmente in qualche negozio.  Andando verso sud mi avvicino ad un bivio: Percorrere la strada dei turisti e tornare ad ammirare le famose meraviglie di Kamakura, come il Daibutsu (la grande statua in pietra del Buddha) e il Tempio Hasedera, oppure proseguire la mia camminata verso sud su un’anonima strada che porta però verso il mare?
Se non avessi già visto quelle meraviglie qualche anno prima, sarei un folle a scegliere la seconda ipotesi ma, in questo caso, credo che il mare vinca a mani basse.
Dopo una decina di minuti di strada arrivo di fronte ad una delle spiagge di Kamakura! Sono davanti ad un’ampia distesa  di sabbia dove posso rilassarmi abbandonandomi al rumore delle onde. Sopra di me vola qualche gabbiano e qualche grosso rapace che, con le sue deviazione e abbassamenti di quota, non è che mi faccia stare particolarmente tranquillo. Essendo un giorno feriale di maggio, la spiaggia è ovviamente poco frequentata: poche persone sdraiate a prendere il sole, un surfista e qualcuno seduto che mangia uno snack contemplando il mare. Camminando lentamente e goffamente per non far entrare la sabbia nelle scarpe mi avvicino alla battigia dove il mio occhio e quello della telecamera seguono per qualche minuto il movimento delle onde. 
Nel ritornare indietro faccio amicizia con Nami, una ragazza giapponese che sta prendendo il sole in bikini, godendosi la libertà dopo aver abbandonato il lavoro. Dopo poco ci raggiunge anche un suo amico appassionato di fotografia digitale su instragram (e un inspiegabile rifiuto verso le macchine fotografiche vere) e con una maggiore padronanza dell’inglese. Resto a chiacchierare con loro ancora qualche minuto e poi mi rimetto in cammino verso la stazione.
Sulla strada del ritorno mi fermo in un bel negozio di oggettistica dove vedo, e non posso fare a meno di acquistare, un bellissima furin zucca di ceramica dalla forma di maiale; uno di quegli oggetti che vanno appesi sul balcone e poi suonano col rumore del vento.  
Altro breve stop in un negozietto di fronte alla stazione per acquistare dei piccoli contenitori e poi sono sul treno che mi riporta verso Tokyo. 
E’ tardo pomeriggio e ho ancora un’oretta e mezza di tempo che decido di trascorrere facendo un giro a kappabashi e poi nuovamente nelle arcade che portano verso Nakamise dori. Compro un paio di magliette e rimpiango di non avere quel quartiere a due passi da casa per poter fare tutto lo shopping che voglio con la dovuta calma.

Ma il tempo stringe e devo scappare se non voglio far aspettare Yuki, con cui ho appuntamento alle 19 davanti all’Hard Rock Cafè di Ueno. Affrettando (nei limiti del possibile per il mio piede malato) il passo, arrivo sul posto alle 19 spaccate … peccato che Yuki fosse arrivata in anticipo di mezz’ora e quindi ha dovuto ugualmente aspettarmi. Non vedevo Yuki dal matrimonio di Valentina (quindi da 1 anno e mezzo) ma, nonostante le mie scarsissime capacità fisionomiste, riesco a riconoscerla al volo e nonostante questa volta non potessi aiutarmi col fatto di ricercare un volto orientale :D
Ci incamminiamo verso le vie di Ameyokocho per cercare un posto dove cenare e, passando di fronte ad un Kaiten Sushi, le propongo di fermarsi lì. Lei accetta volentieri e quindi ci accomodiamo al bancone dove, mentre mi faccio suggerire cosa mangiare dalla fitta varietà di piattini che mi scorrono davanti, lei preferisce ordinare direttamente i suoi tagli preferiti direttamente al cuoco di fronte a noi. Si mangia, si beve birra e si chiacchiera per un po’, ma poi dobbiamo andare perché da lì a poco ho di nuovo appuntamento con Ernesto. In attesa dell’orario mi accompagna nel centro commerciale di fronte alla stazione per aiutarmi a cercare una particolare crema richiesta della Mati e poi, dopo averle consegnato il pacchetto che le mandava Valentina dall’Italia ci salutiamo.
L’appuntamento con Ernesto è poco distante da lì, vicino all’entrata del parco, e io lo aspetto davanti al semaforo che dovrà per forza attraversare arrivando dalla stazione. Chissà come sarà questa mia prima esperienza in un Karaoke giapponese!

Mentre da noi, il karaoke è stato solo una moda passeggera degli anni ’90, presumibilmente a causa del modo in cui è stato reinterpretato, in Giappone è da sempre uno dei più diffusi svaghi serali. Già solo passeggiando durante il giorno è impossibile non notare la larghissima diffusione e il successo di questi posti . Chi riesce a leggere almeno qualche katakana non faticherà certo a notare come su moltissime facciate di palazzi fa bella mostra la scritta カラオケ.  La differenza rispetto a quello che abbiamo conosciuto sul nostro territorio è molto semplice:  qui non si tratta di vedere una persona che si umilia davanti a decine di sconosciuti, infliggendo ai poveri avventori di un locale il solito campionario di classici brani da matrimonio o da piano bar. Qui il concetto è completamente diverso e si trasforma in una sorta di festino privato, con un ristretto gruppo di amici con i quali magari condividi le stesse passioni musicali. In pratica ti vengono messi a disposizione: una comoda stanza privata insonorizzata, strumentazione di qualità, un servizio completo per ordinare cibo o bevande e soprattutto, un immenso catalogo musicale per soddisfare qualunque tipo di preferenza! I locali di karaoke sono tanti e non sono tutti uguali, così mi affido completamente ad Ernesto che ne sceglie uno dei più costosi ma che offre una ancor maggiore scelta di brani con una buona varietà di rock e metal.
In effetti l’impatto col locale mi lascia abbastanza confuso. E’ diverso da quelli che ero abituato a vedere in giro e che assomigliavano più a delle luminose sale giochi. Quando entri al Pasela ti sembra di entrare in un lussuoso hotel/ristorante con le pareti dell’ascensore decorate con legno intarsiato. Prenotiamo per 2 ore e ci dirigiamo verso il sesto piano, dove troviamo la nostra stanza.  
La stanza è relativamente piccola ma allo stesso tempo enorme per 2 sole persone. Lungo le pareti c’è una panca/divano angolare in pelle e, sul fondo della stanza, un mobile con televisore, impianto karaoke, una coppia di microfoni wireless e una di tamburelli. In mezzo alla sala un enorme tavolo in legno con sopra degli sproporzionati menu per ordinare cibo e bevande, il terminale touchscreen per la selezione delle canzoni e per le ordinazioni e due volumoni cartacei (tipo elenchi telefonici) con la lista delle canzoni. Quest’ultimi risultano piuttosto inutili, dato che la ricerca sul terminale è molto più comoda e veloce, e perché sui volumi i brani/artisti sono ordinati alfabeticamente … ma in ordine alfabetico di kana (a,i,u,e,o,ka,ki,ku,ke,ko, sa, shi...) .
Sarà perché c’era veramente l’imbarazzo della scelta tra centinaia e centinaia di canzoni che adoro (e che mai mi sarei aspettato di trovare) ma, se all’inizio ero un po’ imbarazzato, dopo pochissimi minuti perdo ogni inibizione e do inizio a vergognose esibizioni canore. Peccato non ci fosse un servizio che alla fine stampasse la scaletta delle canzoni che ho deciso di rovinare ma, tra le tante, ricordo cose tipo:  Surrounded, Spirit Carries On e Hollow Years dei Dream Theater , Hey Stoopid di Alice Cooper,  Afterlife e Beast and the Harlot degli Avenged, Born to be my baby di Bon Jovi, Cha-la head Cha-la da Dragon Ball, Tonari no Totoro, Ashita Areruka di Maison ikkoku, Center of the Universe dei Kamelot , Half Past Loneliness dei Royal Hunt, Carry On degli Angra, Motherless Child e Rising Force di Malmsteen,Gren-Tinted Sixties  Mind dei Mr.Big, Dream Warriors dei Dokken, Spreading the Disease e Eyes of a Stranger dei Queensryche e tante altre…
C’è anche da dire che spesso il metal non aiuta a migliorare la propria (già bassissima) autostima come cantante :D

Dopo aver prorogato di un’ora e aver ricevuto un richiamo, perché si stava sforando anche la terza, decidiamo di andare a saldare il conto e mettere la parola fine a questa serata.
Nonostante le pessime esibizioni vocali mi sono divertito tantissimo e non vedo l’ora di ripetere quanto prima l’esperienza; magari preparandomi prima una lista di canzoni da ricercare, dato che sul momento avevo dei vuoti e spesso non mi veniva in mente nulla.

Saluto Ernesto, che da quel momento non rivedrò più per un po’ di tempo, e mi dirigo felice verso l’albergo.



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